Ti hanno mai detto: “sei davvero una strega? E se sì, come ti sei sentita?”

Fede mi pone questa domanda curiosa, a pochi giorni da Halloween, durante un’innocente call di brainstorming del venerdì.

Mi piacciono sempre le domande di Fede perché mi portano lontano da dove mi trovo e mi trasportano altrove, generalmente in luoghi di fantasia che magari non avrei pensato mai di esplorare.

Facciamo due lavori diversi ma ci incontriamo spesso a metà strada. Lei si occupa di comunicazione (e non solo), io di storytelling (e non solo).

Sono due cose che si somigliano, spesso si sovrappongono, che si completano a vicenda.

Quando comunichiamo o raccontiamo una storia, l’obiettivo è quello di recapitare un messaggio. Che sia un messaggio strategico finalizzato alla vendita, o una morale che faccia riflettere, la difficoltà è sempre la medesima: fare in modo che arrivi a destinazione con efficacia.  

Penso dunque alla domanda di Fede e le rispondo che sì, me l’hanno detto spesso, che sono una strega.

E non mi sono mai sentita ferita da questa definizione, perché, in realtà, io un po’ strega mi sono sempre sentita.

Per me, Juice, il termine “strega” non ha un’accezione negativa. Colleziono pietre, fabbrico talismani e amuleti, brucio palo santo per purificare gli ambienti, ho tre mazzi di tarocchi e sto attenta al ciclo lunare. Ho anche un libro di incantesimi, sì, e anche se non credo alla magia vera e propria, credo molto nella magia e nel potere delle intenzioni.

Fede mi risponde:

“Certo, non ti senti ferita perché la reazione al messaggio dipende dal contesto, dal mittente, dall’obiettivo. Se ti chiamassero “strega”, durante una riunione, come ti sentiresti?”

Diversamente, rispondo io. Perché in quel contesto la “strega” torna ad essere una figura stereotipata, ancorata ad una narrazione del passato. Una figura minacciosa, scomoda, controversa.

Il mittente del messaggio, in questo caso, ha un obiettivo diverso: farmi sentire fuori posto, inadeguata, malvoluta.

Quindi, la stessa definizione può portare con sé obiettivi e risultati completamente opposti.

E funziona così anche con altre figure e modelli fiabeschi: principi e principesse, pirati e piratesse, fate, cavalieri.

Il messaggio viaggia e arriva a destinazione in maniera differente in base a:

  • Contesto
  • Mittente
  • Obiettivo

certo, io però aggiungo anche un ultimo tassello: il tono di voce.

  • Se il mio collega apre la porta e mi fa passare per prima, posso dirgli “che cavaliere” con un tono di voce amichevole e rilassato.
  • Se il mio collega apre la porta, passa per primo, e la porta mi si chiude in faccia, posso dirgli “che cavaliere” con un tono di voce sarcastico, stizzito.

Stesso messaggio e contesto, ma obiettivo e tono di voce differenti.

Per questo la comunicazione è una sfida, per questo lo storytelling è importante.

Il brainstorming con Fede prosegue concitato e riflettiamo insieme sul fatto che, nella comunicazione, nello storytelling, potremmo essere tutte e tutti un po’ streghe, un po’ maghi. 

Ciascuna e ciascuno di noi nel proprio laboratorio, con credenze stracolme di ampolle, pozioni magiche, erbe, chincaglierie di vario tipo. Abbiamo il nostro personalissimo modo di combinare gli ingredienti, mescolare le parole, imbottigliarle, etichettarle e poi recapitarle.

Quando comunichiamo un messaggio al nostro interlocutore o alla nostra interlocutrice non possiamo affaccendarci solo intorno al nostro calderone.

Le nostre credenze, infatti, sono colme di esperienze di vita differenti, elementi socio-culturali e magari economici diversi. La ricetta di ogni singola pozione è necessariamente unica.

Quando lavoriamo ad un incantesimo (storia o messaggio) diventa dunque fondamentale interrogarci anche sul contesto laboratoriale dell’altro o dell’altra, e porci delle domande:

  • Cosa c’è nella sua credenza?
  • Che stile comunicativo ha?
  • Che preconcetti potrebbe avere?
  • Quali resistenze potrebbe esercitare?

Per questo, nella comunicazione strategica e nello storytelling, è così importante lo studio del target.

Fatta questa analisi, terminata questa ricerca, mescoleremo gli ingredienti con più consapevolezza e sapremo formulare con più efficacia il nostro messaggio.

Impareremo a sentire aromi diversi da quelli a cui siamo abituate, abituati. Impareremo a riconoscerne la provenienza, a studiarne la composizione.

Aggiungeremo degli ingredienti mai provati prima. O, forse, sperimenteremo di più con le parole. Magari toglieremo qualcosa di superfluo e la brodaglia iniziale si trasformerà in una pozione limpida e sbrilluccicante.

Poi, travaseremo il decotto magico all’interno di una bottiglia di vetro e, se tutto va bene, quella bottiglia non esploderà e, anzi, arriverà sana e salva a destinazione.

E quella pozione equilibrata e ben riuscita genererà qualcosa di ancora più magico: l’inizio di una collaborazione o di una relazione, la creazione di una community, una vendita.

Per tirare le fila, al termine di questo curioso ed inaspettato brainstorming:

qualsiasi sia lo scopo della nostra comunicazione/storytelling, non dimentichiamo mai di indagare contesto, mittente, obiettivo, tono di voce. 

“E soprattutto, guardate con occhi scintillanti tutto il mondo intorno a voi, perché i più grandi segreti sono sempre nascosti nei posti più improbabili. Coloro che non credono nella magia non potranno mai trovarla.”
– Roald Dahl


Per conoscere meglio le Ragazze tra le nuvole:

Nota a margine – perché abbiamo deciso di scrivere?

Il progetto “Ragazze tra le nuvole” nasce come un diario condiviso. Un luogo digitale in cui appuntare le nostre esperienze e tenerne traccia, per noi, ma anche per le persone curiose e appassionate del mondo dell’arte e della comunicazione. 

Ci piace comunicare, a nostra volta, con i mezzi che sentiamo a noi più affini.

I nostri blog, sono le nostre case digitali. Saremo felici di ospitarvi qui, per condividere con voi tutte le nostre future esplorazioni. Dovrete solo versarvi un thè, e prendervi una pausa tutta per voi 🙂